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Marmitte dei giganti del M. Sumbra
geomorfologia
 







 



Ipotesi classica di formazione di una marmitta in un torrente (Panizza)
 

Le marmitte dell’Anguillaja e del Fatonero sono modellate direttamente nella roccia e le dimensioni sono variabili da pochi centimetri fino ad un diametro di 6,6 m e una profondità di 1,6 m.

Difficile è quantificarne il numero, anche perché talvolta si trovano forme più piccole all’interno di altre maggiori.

Se ci si limita alle più rilevanti, si può indicare in circa 30 la quantità totale in entrambi i corsi d’acqua.

Le marmitte devono spesso la loro origine all’azione abrasiva di ciottoli ruotanti.

Lo sviluppo richiede più condizioni coincidenti, tra cui il movimento vorticoso della corrente fluviale e un substrato roccioso coerente ed omogeneo, come il marmo del versante meridionale del Monte Sumbra.
 


 

A questo modello tradizionale sembrano riferirsi anche le ‘marmitte’ dell’Anguillaja e del Fatonero, come dimostrerebbero i segni regolari dell’erosione meccanica sui bordi interni di alcune di queste cavità a paiòlo.

In certi casi, la dissoluzione chimica (carsismo superficiale) può aver inizialmente favorito la loro formazione, ma poi l’azione idrodinamica ha avuto ragione prevalente o esclusiva.

Tuttavia, altri Autori hanno ipotizzato una genesi di queste marmitte in regime forzato di conduzione delle acque, attraverso cunicoli subglaciali di scorrimento, che dovevano trovarsi in corrispondenza di ghiacciai formatisi durante l’ultima glaciazione.

In effetti, il versante meridionale del Sumbra e del Fiocca è caratterizzato da forme diffuse di modellamento glaciale, glaciocarsico e crionivale, che testimoniano la presenza di masse glaciali nel Würm e di piccolo masse effimere di ghiaccio e di nevai nel Tardiglaciale e Postglaciale.
 

Parete di una marmitta con evidenti tracce (scallops)
di flusso d'acqua sotto pressione


 


 

corrimento sotterraneo lungo la Tùrrite Secca

Antonio Stoppani (1824-1891) – geologo e paleontologo italiano – venne qui il 13 giugno 1872 per stimare il valore dei marmi della Val d’Arni (successivamente detta “la Valle Bianca”).

In quell’occasione, il famoso scienziato osservò e comprese il fenomeno dello scorrimento subalveo delle acque lungo il torrente Tùrrite Secca.

L’originale descrizione dell’autore si può leggere ne Il Bel Paese, pubblicato nel 1876. Stoppani scrisse: “il letto del fiume invece di raccogliere gli affluenti, diviene il tetto che li copre tutti…”.

Le acque della Tùrrite Secca riaffiorano dalla sorgente Pollaccia, vicino al villaggio dell’Isola Santa, circa un chilometro più a valle, come il nostro geologo ci racconta nel suo libro.

L’assorbimento carsico fa l’alveo asciutto, ma le acque lo inondano all’improvviso durante i forti temporali. Nei giorni senza pioggia, si può tranquillamente camminare lungo questa naturale “strada acciottolata”.

Nel 19° secolo, l’alveo asciutto della Tùrrite Secca era il solo sentiero di collegamento tra la Val d’Arni e Castelnuovo di Garfagnana.

 Sulla sinistra: l'alveo asciutto della Tùrrite Secca
 

 


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